Mostra di Pablo Picasso a Roma. Pablo Picasso. Tra Cubismo e Classicismo:1915-1925. Domenica 2 Ottobre, una fila interminabile attende l’ingresso alle Scuderie del Quirinale sotto un sole tiepido. Tutti abbiamo avuto la stessa idea, che forse, all’ora di pranzo, ci potessero essere meno persone. Errato. Tutto pieno dal mattino. Sono esposti infatti i quadri del pittore, spagnolo di nascita, ma francese per cultura, che ha prodotto in Italia nel periodo della Grande Guerra. All’epoca, Picasso, a soli 36 anni, è già considerato un grande pittore, ha cavalcato la rivoluzione cubista e decide di intraprendere un viaggio in Italia con l’amico Jean Cocteau. Soggiornerà tra Roma e Napoli conquistato dalla bellezza delle rovine romane e dall’arte popolare napoletana.
La mostra è organizzata in maniera scrupolosa. I quadri e i disegni appesi alle pareti delle sale spettacolari delle Scuderie del Quirinale. Al visitatore meno preparato culturalmente, è fornita l’audio guida che risulterà fondamentale per la comprensione dell’arte non semplice di Picasso. Ed è per questo che all’esibizione partecipano visitatori di ogni età. Bambini compresi. La mostra è interessante ed istruttiva.
E mi torna in mente quando all’inizio degli anni novanta, incontrai l’allievo e amico di Picasso, Philippe Artias, che avevo conosciuto a Numana, nella sua casa al Villaggio Taunus.
Philippe Artias è stato, per cinque anni, allievo ed amico di Picasso a Parigi. Dichiarò in seguito di aver sempre ascoltato i consigli artistici di Picasso, nonostante Artias fosse un futurista. Si era poi trasferito nelle Marche. In un primo momento nel maceratese, perché era innamorato della regione, ha sempre dichiarato lui.
In realtà, non si può fare a meno di notare che proprio a Macerata proliferò un’ondata importante di pittori futuristi. Uno dei più influenti fu Wladimiro Tulli, appartenente al secondo futurismo e all’astrattismo. Tulli inizia nel ’38 con il pittore Bruno Tano, viene poi affascinato da Ivo Pannaggi, maceratese come lui, e da altri futuristi. Nel 1939 il primo incontro con Marinetti e dal 1938 al 1943 fa parte del Gruppo Boccioni di Macerata. Ungaretti dedicò a Tulli un breve scritto.
Philippe Artias, dopo alcuni anni trascorsi nella provincia di Macerata, si trasferisce a Numana e, più precisamente al Villaggio Taunus, un ameno luogo di villeggiatura che si affaccia sul mare. Incastonato nella Riviera del Conero fu ideato, negli anni ’70, da un imprenditore tedesco, Hans Walter Neumann.
E’ proprio Neumann a propormi di incontrare Artias allora. Avevo da poco concluso una personale presso le sale del Comune di Numana e Neumann aveva acquistato un mio quadro, La nascita del Taunus. Organizza lui l’incontro nella villa dove Artias viveva con Lydia, la moglie russa.
L’appuntamento è fissato per il mattino verso le 11, in auto porto le mie tele, come mi ha consigliato di fare il signor Neumann. Allora la mia tecnica pittorica era distante anni luce dall’astrattismo e dal futurismo. Dipingevo quadri in stile naif. Da piccola, mio padre aveva comprato un quadro e un libro sui pittori slavi di arte naif. Il libro si chiamava, I pittori naifs della Scuola di Hlebǐne. Le atmosfere fiabesche e i paesaggi magici dei pittori slavi mi avevano conquistata. In più, dipingevano su lastre di vetro al contrario. Ovvero, per disegnare un viso, prima dipingevano la parte scura dell’occhio, poi quella chiara, in seguito il volto con un procedimento a ritroso, molto difficile e innaturale.
Mi fanno entrare nella bella villa dalle ampie vetrate che formavano un tutt’uno con il mare e la natura, una fonte inesauribile d’ispirazione e creatività. La signora Lydia è una bella donna russa, bionda e ben curata. Appena mi vede Lydia mi spiega che, un tempo, era una critica d’arte, ma che, da quando aveva conosciuto Philippe che era il numero uno, l’aveva sposato smettendo di seguire gli altri pittori definitivamente.
Philippe Artias era solo esteriormente un uomo comune. Indossava un pullover in tinta classica, sul tono del grigio, ma, quello che colpiva, era un anello d’oro che portava al dito medio, grande e un po’ barocco. Forse troppo esagerato per un uomo. Mi fa accomodare nel suo studio di pittura. La stanza, inondata dalla luce accecante che proveniva dalle vetrate era esattamente il contrario di ogni studio di pittura che avevo mai visto prima dal vivo, nei film, o nei libri che avevo letto. Per niente bohemien, era talmente ordinato da sembrare più uno studio dentistico che un’officina di pittura. Ogni cosa era al suo posto. I pennelli in fila per grandezza, dal numero uno in poi, appesi a dei ganci alla parete. Nemmeno una macchia di colore o un odore di diluenti. Tutto era asettico. Lui no però. Conversando con l’artista Artias, veniva fuori un uomo dall’intelligenza acuta e dalla forte personalità. Mi parlò a lungo di Picasso che aveva conosciuto a Parigi (lui pronunciava il nome alla francese, con l’accento sulla O, Picassò).
Essere stato per un periodo l’allievo di Picasso era stato per lui un onore enorme. “Picasso era un vero genio – raccontava – l’unico vero talento di tutto il novecento” Poi si avvicina ad un cassetto e ne estrae un blocco di schizzi. “Io sono attratto dal movimento – mi spiega – e cerco di tradurlo nei miei disegni”. Mi mostra l’album. Vedo una serie di ghirigori. Tutti hanno un senso. “Sai come li faccio? – mi chiede – Per rappresentare il movimento, in maniera compressa, salgo in auto con Lydia, mentre lei guida, io cerco, con la matita su dei fogli di carta, di catturare immagini nel più breve tempo possibile, di ritrarre quello che vedo. In una manciata di secondi, il tempo necessario per oltrepassare case e colline, disegno tutto velocemente sulle pagine bianche. Per quando ho concluso il giro, ho riempito tre o quattro album. Quello che ho trascritto su carta è il movimento. Dopo questa fase di studio, prendo uno degli schizzi e lo riporto su tela, amo quelle grandi e, alla fine, gli do sopra il colore. Riprendo la velocità e il movimento che trasferisco su un quadro”. Nel linguaggio informatico attuale, lui zippava le immagini, tante, le comprimeva fino a riassumerle in una pagina di linee, cerchi ed altre forme astratte. Poi le salvava sulle tele.
Allora l’informatica non era evoluta come oggi, i computer erano ancora poco sofisticati. Lui, con l’arte, aveva già sviluppato quel mondo telematico. Con dei pennelli su tela. Un artista all’avanguardia.
Rimango appassionata dalle sue spiegazioni, tanta è la passione che ci mette nei racconti che te la trasmette. Sua moglie sempre accanto, compiaciuta lo fissa con sguardo adorante. Anche lui di sicuro era un genio.
La mostra che avevo appena fatto a Numana era di arte naif. Adoravo il pittore francese Henri Rousseau con il suo sogno, i naif slavi per l’appunto, anche se consapevole che per il mondo accademico, gli artisti naif sono considerati di livello secondario. Amavo la loro atmosfera fiabesca e infantile. Direi, anni luce dal futurismo. Anni luce anche dal punto di vista tecnico dal maestro Artias. Però lui volle vedere i miei quadri. Ne portai sei o sette. Li guardò attentamente, prese un foglio di carta e cominciò a scrivere. “Questo è l’indirizzo della mia galleria in Ancona, nel corso principale, porta i quadri e va’ a mio nome, devi dire che ti manda il maestro Artias”.
Lo ringraziai tanto per il favore che mi aveva fatto e per la splendida lezione che mi aveva offerto con generosità. Il maestro era un altruista. Io non gli avevo chiesto niente. Poi salutai sua moglie ed andai.
Dopo due giorni, ero già in Ancona, in centro dal gallerista di Philippe Artias con la macchina strapiena delle mie tele. Entrai senza portarli però, chiedendo del proprietario. Appena identificato, mi presento e rapidamente aggiungo: ”Il maestro Artias mi ha detto di venire a suo nome e di portarle i miei quadri”. In due secondi, senza nemmeno farmi la cortesia di guardare i quadri mi liquida:” lei non è famosa, il suo nome non è conosciuto. E nemmeno è stata l’allieva di qualcuno importante. I suoi quadri non verrebbero venduti da noi. Nessun mercato”. Una risposta cruda che mi fece comprendere all’istante come fosse cinico il mondo del commercio. Anche dell’arte.
Dopo quell’incontro, non cercai più il maestro Artias. Fu la prima e ultima volta che ci parlai. Non ebbi il coraggio di raccontargli quello che mi aveva tuonato il suo gallerista di Ancona. Per questo preferii sparire.