Se le operazioni dell’agente britannico Ian Lancaster Fleming sono state adeguatamente immortalate dai ben noti romanzi e film su James Bond, ove il celebre 007 sfidava impavido la morte per la Gran Bretagna, altri valorosi protagonisti dei servizi segreti di Sua Maestà con la stessa tenacia e abnegazione sono caduti completamente nell’oblio. Anche perché fino a poco tempo fa non trapelava nulla sul loro ruolo effettivo a causa di leggi severe sul segreto di Stato.
È il caso dell’ufficiale Max Salvadori Paleotti. Nome in codice: capitano Sylvester, agente segreto di Sua Maestà Giorgio VI. Suo compito principale, reclutare italiani antifascisti per il SOE, (Special Operations Executive), l’intelligence britannica fondata dal Premier Winston Churchill nel giugno del 1940 agli ordini diretti del Primo ministro stesso. Max Salvadori, impegnato in tutte le operazioni britanniche in Italia, organizzò e supportò i gruppi di resistenza.
Scrivono le biografie ufficiali a lui dedicate in quanto intellettuale e membro della resistenza, che si trattava di un anglo-italiano con la nazionalità britannica che si chiamava Massimo, detto Max, Salvadori. Nessun accenno al suo ruolo attivo di agente segreto britannico.
Max Salvadori Paleotti, nome in codice capitano Sylvester, era nato a Londra nel 1908 da un conte marchigiano di Porto San Giorgio, Fermo, Guglielmo Salvadori Paleotti, detto Willy, filosofo, professore di filosofia e traduttore italiano di Herbert Spencer. Sua madre Giacinta Galletti di Cadilhac, una donna colta e poliglotta. Sia il padre Willy che il figlio Max vengono pestati dai fascisti. Da qui i continui spostamenti della famiglia.
Max Salvadori trascorre a Firenze la sua adolescenza e nel 1924 accompagna il padre in Svizzera, che espatria perché perseguitato politico.
Entrambi i genitori erano quindi marchigiani, come sottolinea sua sorella, la scrittrice, poetessa e partigiana Beatrice Gioconda, detta Joyce, Salvadori in Lussu. Joyce Lussu era la moglie di quell’Emilio Lussu che fu anche senatore tra il ’48 ed il ’63.
Max Salvadori aveva doppia nazionalità perché nato a Londra.
In un intervento riportato nel libro Max Salvadori, L’antifascismo e la resistenza nelle Marche, Atti della Giornata di studi in ricordo di Max Salvadori (Ancona 5 dicembre 1992), Joyce Lussu corregge il relatore, precisando che:” mia madre era marchigiana e non inglese. Era nata a Torre San Patrizio, figlia di un garibaldino romano totalmente marchigianizzato, deputato nel collegio di Monte Giorgio per cinque legislature, figlio a sua volta di un generale garibaldino che combatté per la Repubblica Romana contro i francesi e il cui busto è al Gianicolo: Bartolomeo Galletti”. E ancora:” Quindi mia madre era nata, cresciuta ed allevata nelle Marche, così come mio padre, il quale anche lui a sua volta aveva delle ascendenze inglesi, ma era comunque un marchigiano nato a Porto San Giorgio”. (Questa informazione sui genitori marchigiani di Max Salvadori è confermata anche dai file britannici declassificati su di lui, nda).
Joyce Lussu continua, parlando del movimento Giustizia e Libertà al quale suo fratello Max e tutta la sua famiglia appartenevano. Un movimento liberal-socialista fondato a Parigi nel ’29 da un gruppo di esuli antifascisti. “Aveva origini soprattutto repubblicane. E nelle Marche il movimento repubblicano aveva forti connotazioni popolari ed era anche influenzato da componenti libertarie, molto presenti nella regione”.
Max Salvadori fu tra i primi militanti di Giustizia e Libertà a soli 21 anni. Tre anni dopo si laurea a Roma in Scienze politiche. Fu arrestato nel ’32 – riportano – (Joyce Lussu scrive invece che era stato arrestato nel ’31, nda) per attività antifasciste e fece sei mesi di carcere a Regina Coeli. Aveva provato ad organizzare un’evasione ma senza successo. Nel 1937 consegue la libera docenza all’Università di Ginevra e due anni dopo riesce ad arrivare negli Stati Uniti, insegnando Scienze sociali all’università.
Con lo scoppio della guerra si arruola come volontario nell’esercito inglese grazie alla sua doppia nazionalità. Organizza una resistenza armata contro il nazismo. La famiglia ne perde le tracce completamente.
Durante un viaggio a Benevento alla ricerca degli alleati, per caso, racconta sempre sua sorella Joyce Lussu, di essere arrivata in un campo americano e che fu portata al loro comando ad Acerra. Mentre veniva interrogata ripetutamente, raccontò loro di aver avuto l’incarico politico affidatole dal C.L.N. (Comitato di Liberazione Nazionale) e che era partigiana, repubblicana e socialista. Le sue intenzioni erano quelle di raggiungere Bari o Salerno. Dopo due giorni di fermo estenuante, invece di venire rilasciata, viene avvicinata da due ufficiali dell’OSS, (Office of Strategic Service), i servizi segreti americani, che le preannunciano che l’avrebbero messa in contatto con delle personalità inglesi.
È con grande sorpresa che tra loro, per caso, incontra suo fratello Max. Il capitano Salvadori dello Special Forces, reparti speciali dell’esercito britannico di italianisti che stabilivano rapporti con i partigiani italiani. (Il racconto medesimo è confermato dai file declassificati britannici, nda).
Sempre Lussu racconta che suo fratello, assieme al maggiore Malcom Munthe, figlio del famoso scrittore Axel, comandante di questi reparti speciali, la accompagnarono fino alla nuova linea del fuoco che era a nord di Napoli.
Lussu parla del ruolo di Max Salvadori. Racconta, nel suo intervento alla Giornata di studi, gli eventi fondamentali e gli aneddoti senza però far trasparire la natura del vero incarico di suo fratello, ovvero quello di liaison officer, ufficiale di collegamento nel SOE, i servizi segreti britannici.
Joyce Lussu lo sapeva sicuramente anche perché lei stessa collaborava con l’intelligence britannica. Essendo però a conoscenza che tutti gli agenti segreti arruolati dovevano firmare l’OSA, l’Official Secret Act, la legge severissima sulla tutela dei segreti di Stato tuttora in vigore in Gran Bretagna, era rispettosa e timorosa della legge. All’epoca prevedeva la fucilazione immediata. Attualmente la detenzione per anni.
A fugare ogni dubbio ci pensano i britannici stessi che in questi ultimi anni sono sempre più generosi nel desecretare documenti riservati del governo. Il National Archives di Kew è una fonte inesauribile di informazioni, alcune consultabili persino online. Scopriamo così che nel 1943, a comandare il SOE in Italia c’era il tenente colonnello Cecil Roseberry. La scuola di addestramento degli agenti si trovava a Capri in un’area ben nascosta da occhi indiscreti.
E che al comando del gruppo del SOE, che ufficialmente si faceva chiamare Special Force, c’era proprio quel maggiore Malcom Munthe, ben descritto da Lussu, operativo in Italia assieme a Max Salvadori.
Munthe veniva descritto, secondo le schede informative del SOE, come un trentatreenne in kilt dei Gordon Highlanders, che nel 1940 era stato reclutato dal SOE stesso per le operazioni in Scandinavia. Sempre per l’intelligence britannica aveva partecipato alla missione in Sicilia al seguito dell’Ottava armata britannica. Nei file declassificati viene anche riportata la sua caratteristica principale:” un uomo che non conosceva il significato della parola paura”.
Max Salvadori operava con lui nel SOE in Italia. E proprio Max Salvadori aveva segnalato al SOE i due giornalisti italiani arruolati. In merito leggere sempre su questo blog l’articolo: “Chi sono i giornalisti italiani che collaboravano in Italia con l’intelligence britannica…”.
Viene declassificata anche la lettera di Roseberry, il comandante del SOE in Italia, inviata a Max Salvadori, con le disposizioni da seguire.
Gli scrive che:”…i nostri vecchi amici (Giustizia e Libertà) devono essere tenuti al seguito e incentivati. Al contrario lo Stato maggiore italiano ritiene che non ci sia spazio in Italia proprio ora per nient’altro eccetto l’azione militare e l’azione del nostro settore, condotte da personale militare fidato (non operativo naturalmente come militare). Sono sospettosi di tutti i movimenti politici e rivoluzionari e infatti uno dei loro primi decreti è stato quello per l’abolizione di tutti i partiti”.
Roseberry esprime la sua preoccupazione per l’apatia della popolazione del Nord Italia, tipica delle aree occupate dai tedeschi. Suggerisce che:”…per superare questa tendenza all’apatia il lavoro di G e L può essere di valore, e la presenza in Italia dei nostri amici come i due Alberti, Dino, Aldo e Leo (Cianca, Tarchiani, Gentili, Garosci e Valiani) può essere di grande importanza. Ti mando pertanto gli ultimi tre nominativi”.
Roseberry aggiunge che:”…voglio che tu fornisca loro ogni forma di assistenza possibile…”, “devono soggiornare alla testa di ponte… se si spostano, devono concordare una serie di indirizzi ove lasciare messaggi…”, “…gli diamo un radiotrasmettitore e un operatore radio…”, “se dovessero fallire, dovremmo trovare altri sistemi per comunicare con noi…”, ” la loro attività principale sarà stimolare lo spirito della resistenza e incoraggiare quelli capaci fisicamente di condurre determinate operazioni…”.
Poi aggiunge:” È molto importante che noi, come organizzazione ufficiale, non apparissimo incoraggiare quelli che i militari amano chiamare ‘agitatori politici’, così dal momento del loro arrivo devono badare a se stessi e non avere contatti con il Dr Haan”.
L’intelligence britannica nasconde il diretto coinvolgimento di questi uomini per non irritare l’Alto comando italiano sul ruolo politico conferito ad esiliati politici. Il SOE collaborava di nascosto con la Regia Marina dal 1943, a seguito dell’armistizio, che fornì loro motosiluranti e gommoni per far sbarcare gli agenti britannici sulle spiagge italiane.
Continua:” Come puoi immaginare è difficile farli retrocedere dalla programmazione concreta… – e poi – bisogna esercitare una buona dose di tatto e discrezione. Considero questi elementi positivi ma devo fare attenzione che la nostra organizzazione non sia compromessa vis-a-vis con il Comando maggiore italiano”.
Sempre il governo britannico svela che il gruppo dell’intelligence del SOE in Italia era formato oltre che da Munthe, dal tenente Adrian Gallegos, dal capitano Max Sylvester, (e qui troviamo Max Salvadori col nome in codice di Sylvester, nda), dal sottotenente Henri Boutigny e da due segnalatori, il sergente Donald Macdonnel e dal caporale ‘Bill” Beggs.
Dai file inglesi leggiamo soprattutto che:
“A lungo termine, tuttavia, il membro più importante del gruppo di Munthe era il capitano Sylvester, alto, chiaro di capelli e dagli occhi blu. Almeno, quello era il suo nome nei documenti che lo identificavano come ufficiale britannico. In realtà, era un anglo-italiano con nazionalità britannica col nome di Massimo “Max” Salvadori. La sua missione principale era quella di collegare un grande numero di italiani antifascisti, impazienti di aiutare a liberare la loro nazione dal fascismo e dai tedeschi.”. (File personale di Salvadori HS9/13057/6).
Scrivono inoltre che le sue referenze erano impeccabili. Nei documenti si parla della sua famiglia. Che era il figlio di un conte italiano, che aveva vissuto a Firenze in una famiglia dalla mentalità liberale che non nascondeva la sua opposizione al regime fascista. Che fu picchiato ed arrestato dalla polizia segreta italiana, l’OVRA. La sua sentenza a dieci anni di reclusione fu però abbreviata grazie alla pressione di parenti inglesi di alto livello. Il cugino era funzionario senior al Foreign Office.
Sempre nei file britannici più in dettaglio:
“In modo cruciale, tuttavia, in una parentesi a Londra, il suo verbale antifascista fu notato e nel 1938 viene selezionato dalla Sezione D, (l’unità di sabotaggio e sovversione del SIS), (Il SIS, Secret Intelligence service, l’attuale MI6, nda), per prendere parte ad un piano per la trasmissione di propaganda antinazista da una piccola imbarcazione nel Mare del Nord. ‘Ma il piano andò in fumo letteralmente –scrive una fonte – quando la barca con la trasmittente venne distrutta in un incendio nel porto di Boulogne’. Dopo ciò, aveva intrapreso un lavoro come insegnante in un’università nello stato di New York, prima di tornare in Gran Bretagna con lo scoppio della guerra per lavorare in molte campagne di intelligence e propaganda per la Sezione D”.
Max Salvadori, scrive lo storico David Stafford in Mission Accomplished – SOE and Italy 1943-1945, Lume Books, aveva fallito nella sua massima aspirazione, ovvero ottenere un incarico nell’esercito britannico a causa della sua età, aveva 31 anni e tornò frustrato negli Stati Uniti. Comincia proprio qui, nei due anni e mezzi successivi, a svolgere un lavoro fondamentale, a reclutare italiani antifascisti in Messico e ad organizzare il loro trasferimento a Londra.
Finalmente gli viene concesso di arruolarsi con l’esercito britannico come ufficiale e si unisce formalmente al SOE, sezione italiana, (Sezione J), nel marzo del 1943 prima di sottoporsi ad addestramenti standard in varie località in Inghilterra e negli altopiani scozzesi. Roseberry, il comandante della sezione dal settembre del 1941, si era adoperato senza successo a lanciare le operazioni in Italia, fu così contento di averlo a bordo e gli trasmise una serie di file per aiutare a valutare i meriti dei contatti del SOE in Italia. Nonostante ciò, Salvadori rimaneva sempre scettico su molte delle loro dichiarazioni e sospettava che molti di loro non fossero attendibili affatto. Presumeva fossero “o con gli agenti dell’O.V.R.A. o dei servizi d’informazione (politici o militari)”.
Temeva inoltre che “gli agenti” che erano andati in Italia fossero stati catturati e, sotto regime di costrizione, avessero potuto parlare e scrivere.
Proprio questo suo scetticismo fa aumentare in Roseberry la stima nei suoi confronti:” ha svolto un lavoro eccellente da quando si è unito a questa sezione – scrive nel luglio del 1943 – ed è di notevoli abilità ed energia”.
Salvadori scelse personalmente di arruolarsi con il SOE. Sorprese tutti mostrandosi con una divisa da ufficiale britannico. Lui stesso spiegò:” Se uno è convinto che la guerra è giusta e necessaria, dovrebbe prendere parte come combattente, non come critico da poltrona o oratore della radio”. Esprime altre nette convinzioni, ovvero che “solo le persone affidabili sono quelle che si erano opposte al fascismo fin dall’inizio”, che “i comunisti cercano sempre di sabotare quello che non possono comandare”. Che “i nazionalisti italiani (al contrario dei patrioti) hanno venduto il loro Paese ai tedeschi”. Per lui i nazionalisti di ogni luogo, “erano stupidi”.
Con le sue idee ferocemente antifasciste ed i suoi contatti nei circoli in esilio, Salvadori dimostrò di essere una risorsa preziosa da allora fino alla liberazione dell’Italia nell’aprile del 1945. Perciò restava molto critico, come la maggior parte degli antifascisti, sugli inevitabili compromessi dei servizi segreti del SOE con le forze in Italia che condividevano poco o niente dei propri archivi come avversari di Mussolini.
Max Salvadori segue Munthe in qualsiasi sua operazione. Assieme ad esempio raggiungono Salerno per raccogliere i contatti che aiutavano passeggeri antifascisti a raggiungere Napoli. Poiché le strade principali erano controllate dai tedeschi, i due usano gli alberi caduti come ponti per far passare la loro macchina. Alla fine all’imbrunire, attraversando la sabbia, riescono a raggiungere Salerno, una città occupata dall’esercito tedesco.
Altra impresa eclatante del gruppo degli inglesi del SOE: salvare Benedetto Croce. Pagine di storia raccontano come Benedetto Croce fu portato in salvo dall’imminente pericolo di rapimento dei tedeschi nel 1944. Non dicono però che Max Salvadori era tra i maggiori protagonisti.
“Radio Roma, ora controllata dai tedeschi, dichiara che tra i maggiori traditori del regime fascista colpevole di minare l’asse Roma-Berlino c’era il nome di Benedetto Croce e che pertanto doveva essere giudicato dalla giustizia”. (Report di Munthe, Vigilant file, Woods Archive).
Benedetto Croce era il maggiore filosofo vivente in Italia, senatore e liberale, e nonostante avesse flirtato con Mussolini agli inizi, dal 1925 era emerso come simbolo principale della resistenza antifascista. Ora all’età di 77 anni viveva in tranquillità con la moglie e le figlie nella villa a Sorrento. Da qui sarebbe stato facile per i tedeschi rapirlo e voci di un suo rapimento da parte di un gruppo di tedeschi erano cominciate a circolare. Così Munthe e la sua squadra decisero che l’azione doveva essere assolutamente scongiurata. La cosa più difficile però fu quella di convincere Croce a lasciare la sua abitazione. Come dichiarò agli inglesi presenti la signora Elena Croce, sempre secondo i file:” Sì, anch’io penso che mio marito dovrebbe andar via da qui, ma sarà difficile convincerlo”.
Infatti fu proprio così. Trovarono Croce in casa che leggeva un libro alla luce di una candela. Rispose loro che era vero che a lui non piacevano i tedeschi, ma che era vecchio e non aveva paura di loro. “Rimarrò qui, non vorrei che la gente a Sorrento pensasse che ho paura e che scappo via”. Gli spiegarono che loro non la pensavano così, che avrebbe aiutato la causa della libertà e che, nell’ambito dell’Italia libera, la sua presenza avrebbe fornito uno stimolo per le forze antifasciste. Se fosse rimasto, i tedeschi l’avrebbero considerata una vittoria fascista e dichiarato persino che lui stesso aveva scelto di rimanere. Alla fine, con grande pazienza, Gallegos riuscì a convincerlo e a fare presto a preparare le sue cose. Munthe era in attesa da un’ora in un’imbarcazione preposta per il salvataggio di Croce. Max Salvadori era con loro. (Report Munthe e racconto personale di Gallegos). Per gli alleati il salvataggio di Croce rappresentò un vero e proprio colpo di propaganda. Una risposta al salvataggio di Mussolini da parte dei tedeschi. Un successo del SOE.
Quello che non è riportato però è il ruolo attivo di Max Salvadori nell’intera operazione. Fu proprio la sua influenza a convincere Benedetto Croce a seguire gli inglesi. Il padre di Max, il conte Willy Salvadori Paleotti, anche lui intellettuale, era un amico di vecchia data di Benedetto Croce. Addirittura Joyce Lussu sottoponeva le sue poesie ai consigli di Benedetto Croce. Croce si fidò di Max perché lo conosceva già.
Verso la fine della guerra Max Salvadori torna a casa a Porto San Giorgio nelle Marche guidando da Bari.
In realtà la casa di famiglia, Villa Marina, (Max viveva poi in un’altra nei pressi, a San Tommaso), era un’antica villa nobiliare con tanto di parco e dependance per la servitù. Qui nel 1860 fu ospitato Re Vittorio Emanuele (futuro re d’Italia) che incontrò un ambasciatore inglese. Durante la guerra la dimora storica fu dapprima occupata dai tedeschi e poi dalle S.S., le squadre di protezione tedesche. In seguito ospitò gli inglesi ed il generale Alexander, comandante dell’Ottava armata britannica durante la Campagna d’Italia. Quando gli inglesi bombardarono il litorale adriatico, evitarono accuratamente Porto San Giorgio in segno di rispetto per la città di Max Salvadori.
Una volta nella dimora paterna dopo tanto tempo, Max, promosso maggiore, indossa con orgoglio la divisa britannica. Era contento – come scrive lui stesso. Entra in casa. Suo padre lo vede ed esclama:” Agente straniero!” Questo era stato il suo freddo benvenuto dopo numerosi anni di assenza. Ci rimane male perché per suo padre quello “straniero” pronunciato, poteva significare in realtà estraneo, assente dalla famiglia. (Max Salvadori, The Labour and the Wounds). Un rimbrotto tipico di un padre al figlio assente da casa per molti anni, nonostante la guerra.
Due giorni dopo il VE-Day, Sir Noel Charles, ambasciatore britannico a Roma, mandò un telegramma al Foreign Office, riferendo dei successi al nord Italia. Scrisse delle insurrezioni patriottiche a Milano, Torino, Genova, etc.
Il mese dopo inviò un nuovo telegramma questa volta al Primo ministro Churchill, parlando dei successi del CLNAI, in particolar modo di due individui. Il primo Alfredo Pizzoni. (Alfredo Pizzoni di Cremona è stato un politico e militare italiano, presidente del Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia (CLNAI) dalla sua costituzione fino alla fine della guerra di liberazione, nda).
Il secondo Max Salvadori. Espresse grandi elogi per il lavoro di questo ufficiale di collegamento con il CLNAI (Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia).
Scrisse a Churchill a proposito di Max Salvadori:
“Da ex prigioniero dei fascisti, aveva la fiducia di tutti e non esitò ad usare completamente e coraggiosamente la sua influenza nel perseguire con insistenza l’unità del Comitato e nell’assicurarsi il conseguimento delle loro imprese”. (Sir Noel Charles, Woods Archives, messaggio al Primo ministro 13 giugno 1945 nel FO 371/49772).
Per Salvadori il suo successo maggiore era rappresentato dal fatto che tutti i gruppi di resistenza avessero accordato tre punti fondamentali: nessun compromesso con i nemici; l’accettazione degli ordini militari del comando militare del CLN, (Comitato di Liberazione Nazionale), basati sugli ordini del quartier generale alleato; e l’uso di attacchi non violenti generali.
Dopo la fine della guerra, per un periodo lavora all’ONU in Francia. Coincidenza: anche Jicky, Hazel Juvenal-Smith, l’agente britannico operativo a Parigi che visse per molti anni in Italia sul Conero nelle Marche, aveva lavorato per l’ONU a Roma.
Max Salvadori muore il 6 agosto del 1992 a Northampton negli Stati Uniti ove insegnava Storia moderna europea allo Smith College e risiedeva da molti anni.
Era un uomo d’azione, un vero combattente che perseguiva gli ideali dell’eroe del Risorgimento. Pensiero e azione. Azione intesa come lotta nel sacrificio, nell’abnegazione e nel coraggio civile e militare.
Questo articolo per rivelare chi sia stato davvero Max Salvadori.
(Alcuni dei molteplici file declassificati dal governo britannico su Max Salvadori in mio possesso non sono stati pubblicati in questo blog. Probabilmente in una pubblicazione successiva. Ringrazio gli archivi nazionali britannici e i gruppi di ricerca internazionali del SOE per avermeli trasmessi).